IL CAPODANNO BANGLADESE NELLE PAROLE DI RONY

RONY AKTHER, Presidente del B.C.I.I.

Quando ero piccolo aspettavo con ansia questa festa.”
Inizia così il racconto di Rony Akther.
“I profumi, i colori, gli abiti del Bengala prendono forma in tutto il paese e la festa del Boishakhi Mela, il festival del Capodanno bengalese, comincia di buon’ora, alle 7 del mattino e dura per una settimana. Tutti indossano abiti nuovi. Gli uomini il punjabi, vestito lungo, o il koti, camicia a maniche larghe, e le donne i raffinati shari, abiti di stoffe pregiate con colori accesi.
Si regalano fiori, libri, musica e, ovviamente, si fanno gli auguri.
Il Capodanno del Bengala segna, per le popolazioni del Sud-est asiatico, l’inizio del Nuovo Borsho, l’anno di un calendario antico che coincide con la raccolta del riso. I contadini gli danno il benvenuto con feste popolari e fiere.
Per salutare un altro Pahela Baishakh o Bangla Navabarsa, il Capodanno, Dhaka, la capitale del Bangladesh, vive il suo maggior fermento. La gente va nelle piazze principali anche se è per la strada che si confondono, in un piacevole mix, spettacoli, musiche, danze e cibi della nostra tradizione.
Nell’antichità il festival per il Capodanno, il Boishakhi Mela, seguiva il ciclo lunare e si inaugurava in primavera. Poi, con il tempo, la tradizione ha cominciato a seguire il ciclo solare e ha stabilito, come data per i festeggiamenti, il primo giorno del mese Boishak, che cade intorno al 14 Aprile.
Quando ero piccolo aspettavo con ansia questa festa. Sono figlio unico. Per una volta all’anno, almeno, i miei genitori si dimenticavano di me e mi lasciavano andare dove volevo. Con i miei amici cercavo i giochi che si organizzavano per noi ragazzi nelle strade di Dhaka e nei villaggi di campagna. Poi ci fermavamo per strada a mangiare il nostro riso biyrani condito con spezie varie, o il jal mori (riso soffiato ricco di salsa di mango e ingredienti vari) e il piegiu (lenticchie gialle con olio e cipolla), per finire al tipico dolce paesh o alle frittelle calde gilapi con farina, zafferano e zucchero. Oggi, in Bangladesh, la tradizione del Boishakhi Mela è la stessa di allora ma, grazie al palco, io la vivo qui in Italia e mi piace trasmetterla a chi non la conosce affatto.”

Rony Akther è il Probad Purush (predicatore di palco) bengalese per eccellenza. Rony é in Italia da 13 anni e, oltre ad aver girato tutto lo stivale in lungo e largo, ha presentato diversi eventi sul Bangladesh anche in Francia, Austria, Olanda e Spagna. Quest’anno Rony sarà il protagonista del Boishakhi Mela 1415, che si svolgerà a Roma, dal 20 aprile al 1° maggio, al parco di Centocelle (tutti i giorni dalle ore 20 alle 23).
Per l’occasione, Rony inaugurerà l’attività del Bangladesh Cultural Institute of Italy, del quale è il fondatore, con una serie di iniziative che promuoveranno la conoscenza della storia, della letteratura e delle arti bengalesi.

Le cerimonie tradizionali per festeggiare il Capodanno sono, infatti, occasione di socializzazione comunitaria e fanno parte di un patrimonio di cultura orale contadina che continua anche nella quotidianità dei bengalesi che vivono all’estero. Grazie a loro, il Boishakhi Mela ha oltrepassato i confini del Bengala per affermarsi come fenomeno internazionale che ha luogo, contemporaneamente, a Los Angeles, Houston, Washington DC, Tokio, Sydney, Londra e, appunto, Roma.

In Italia, quest’anno è la 13° edizione del Boishakhi Mela e a Roma si svolgerà la festa più grande. Dopo Dhaka, Calcutta e Londra, Roma è la quarta capitale dei bengalesi nel mondo e ogni anno attira circa 50 mila visitatori. Da tutte le regioni arrivano non solo immigrati indiani, pakistani, bengalesi e cingalesi ma anche molti italiani.
Dal 2001, l’organizzazione dell’evento romano è curata dell’Associazione Dhuumcatu (onlus che si occupa di tutela di diritti civili e di iniziative interculturali) in collaborazione con diverse istituzioni locali e quaranta associazioni culturali che si interessano di sud-est asiatico. In lingua bangla Dhuumcatu significa "stella cometa" ed è proprio con questo spirito di guida che l’associazione ricrea la giusta atmosfera per far rivivere gli stessi colori, profumi e sapori che si ritroverebbero, contemporaneamente, dall’altra parte del mondo, in un villaggio del Rajastan o lungo le strade di Delhi.
Per dieci giorni, a Roma, le danze indiane si fonderanno nei suoni delle percussioni, della tablā, del’harmonium e del sitâr. Il tutto sarà “condito” con musica tradizionale Raga a base di zenzero, curry e chiodi di garofano. Per il resto, in un concentrato di sensazioni, il disorientamento interculturale sarà un piacevole ponte fra culture.

(Articolo a cura di Silvia Rizzello, apparso il 16 aprile 2008 su PiazzaVittorioWeb )
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